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venerdì 24 luglio 2015

Moneta e inflazione (3/3) - due esempi

Terza ed ultima puntata dedicata al rapporto tra moneta e inflazione. Qui la seconda parte. 


Abbiamo visto che le conseguenze inflazionistiche della creazione di nuova moneta dipendono da una moltitudine di fattori - soprattutto nel breve periodo. Perciò oggi si vuole fornire un paio di esempi "notevoli" per spiegare in che modo tali fattori contribuiscono all'inflazione.

Il primo caso in esame è il Venezuela. Come si vede nel primo dei seguenti grafici, la base monetaria venezuelana è aumentata rapidamente nel corso degli anni, e in particolare dal 2012 in poi (periodo in cui è quadruplicata). I prezzi - come facilmente prevedibile - hanno seguito un analogo incremento [1]. Di fatto, il paese sta affrontando un periodo di iperinflazione. La base monetaria venezuelana è aumentata così tanto perché il Governo finanzia i suoi deficit tramite prestiti concessi dalla Banca Centrale (BC), cioè tramite la creazione di moneta. Maggiori sono i suoi deficit di bilancio [2], maggiore è l'aumento nella quantità di moneta (come si vede dal secondo grafico). Inoltre, essendo la monetizzazione dei deficit statali una prassi consolidata, l'inflazione elevata è una caratteristica permanente degli ultimi 30 anni. Quindi il Venezuela è un classico esempio da manuale: la nuova moneta viene spesa dal Governo, perciò entra in circolazione ed aumenta i prezzi.



Adesso consideriamo il caso degli USA. Come si vede dal primo dei seguenti grafici, la base monetaria statunitense è aumentata da 0.8 bilioni (cioè 800 miliardi) di dollari nel 2008 a circa 4 bilioni nel 2015. A fronte della quadruplicazione dell'aggregato M0, però, l'indice dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato solo del 12% durante lo stesso arco di tempo [3]. Come mai? Esiste una differenza fondamentale rispetto al caso venezuelano: la Federal Reserve (cioè la BC statunitense) non può prestare denaro al suo Governo [4]. Infatti, come abbiamo visto nell'analisi sugli errori del signoraggismo, le BC dei paesi sviluppati possono comprare solo i titoli finanziari detenuti dalle banche ordinarie. Quindi la politica monetaria statunitense viene trasmessa dal canale bancario, mentre in Venezuela tale ruolo viene svolto principalmente dalla spesa pubblica a deficit.



In condizioni normali, le banche mettono in circolazione la nuova moneta tramite prestiti, e ciò tende ad aumentare i prezzi. Quindi, per quanto riguarda il tasso d'inflazione, non ci dovrebbe essere differenza tra creare moneta e prestarla al Governo o alle banche. Ma, in seguito della crisi finanziaria del 2007-2008, le condizioni del settore bancario statunitense sono drasticamente cambiate. Come si vede dai grafici qui sopra, la crisi ha notevolmente aumentato le sofferenze ed i fallimenti bancari - spingendo le rimanenti banche ad avere maggior cautela nell'erogazione dei prestiti. Le nuove regolamentazioni statali nel settore del credito [5] hanno reso più difficile la concessione di prestiti al settore privato. Inoltre, poiché la Federal Reserve ha portato i tassi d'interesse a livelli bassissimi, è diminuito il costo opportunità di detenere moneta in forma liquida - cioè è diminuito l'incentivo a prestare. In sostanza, diversi fattori hanno contribuito a rompere la trasmissione della politica monetaria tramite il canale bancario. Nonostante il sostanzioso aumento della base monetaria, il totale dei prestiti concessi dalle banche commerciali statunitensi non è aumentato, ma è addirittura diminuito rispetto al picco pre-crisi [6].

Banalmente, possiamo concludere che creare moneta crei inflazione - in tempi più o meno rapidi - a meno che resti inutilizzata (come nel caso in cui il settore bancario sia impossibilitato a prestarla). Nel caso del Venezuela (come in quello di altri paesi del Terzo Mondo) la nuova moneta viene spesa immediatamente dal Governo, manifestando subito i suoi effetti inflattivi. Nel caso di molti paesi occidentali, dove la crisi finanziaria ha intaccato il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, la nuova moneta rimane inattiva e perciò non contribuisce all'aumento dei prezzi. 

Weierstrass

Aggiornamento (22/02/2016): a conferma di quanto scritto sulle cause della stretta del credito, si consiglia la lettura dell'articolo Se le banche non fanno credito, la colpa è delle troppe regole di Fabrizio Galluzzi.

[1] In realtà, è probabile che il tasso d'inflazione reale sia ancora più elevato. Infatti il Governo, imponendo numerosi controlli sui prezzi, ha dato vita ad un fiorente mercato nero. Oltretutto il calmiere governativo sta rendendo sempre più scarsi i beni di prima necessità. In sostanza, il tasso d'inflazione ufficiale sottostima molto quello reale.  

[2] Abbiamo già visto i motivi che incentivano i Governo a fare deficit di bilancio. 


[3] Il grafico può risultare fuorviante, se non si nota che la scala di riferimento del CPI è quella sulla destra - mentre la scala di M0 è sulla sinistra. 


[4] Ricordiamo che per "prestare denaro" si intende anche "comprare titoli di debito". 


[5] In particolare, sono stati inaspriti i requisiti patrimoniali delle banche. Inoltre, in base ai criteri stabiliti dagli accordi internazionali, i titoli di Stato hanno una ponderazione del rischio pari a zero; ciò significa che, a meno di incrementare il proprio capitale, una banca è fortemente incentivata a comprare titoli pubblici anziché privati. 


[6] In effetti, come si vede in uno dei grafici riportati, le riserve in eccesso delle banche americane presso la Federal Reserve sono aumentate vertiginosamente. Se quella base monetaria fosse stata prestata - secondo il principio della riserva frazionaria - dopo un certo numero di prestiti sarebbe stata conteggiata nelle riserve obbligatorie del sistema bancario. 

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