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domenica 7 dicembre 2014

Gli errori del marxismo (2/3) - statalismo & abolizione della divisione del lavoro

Seconda puntata dedicata agli errori della teoria marxista. Qui la prima parte. 



Nella scorsa puntata abbiamo visto gli errori su cui si basa la teoria marxista. In particolare, dal momento che non esiste alcuno sfruttamento dei lavoratori [1], quest'ultimi non ottengono alcun beneficio durevole dalla presa (furto) dei mezzi di produzione. Poi abbiamo visto che tale misura non è sufficiente a realizzare i precetti marxisti.

Un ente coercitivo diventa necessario per ottenere il monopolio dei mezzi di produzione e per redistribuire i guadagni dalle aziende più efficienti a quelle meno efficienti (cioè per togliere ai lavoratori più bravi e dare a quelli meno bravi). In poche parole, è necessario uno Stato che usi il suo caratteristico monopolio della violenza [2]. Tuttavia questa "soluzione" risulta di gran lunga più dannosa del presunto "problema" che si prefigge di risolvere. Dal momento che la redistribuzione punisce i lavoratori migliori e premia quelli peggiori, incentiva a lavorare poco e male. Ciò costringe lo Stato a pretendere un minimo dalle "capacità" dei lavoratori e a limitare i loro "bisogni". Detto in altri termini, li obbliga a lavorare e li paga quanto da lui stabilito [3]; inoltre impone quali mansioni debbano svolgere. La scelta arbitraria di quali siano le "capacità" e i "bisogni" di ciascun individuo lascia allo Stato marxista una totale discrezionalità (con conseguenti errori ed abusi). Non vi è alcun incentivo all'efficienza e, in mancanza di un sistema di prezzi a veicolare le informazioni, risulta impossibile adeguare la produzione alla domanda di beni/servizi [4]. L'insieme di questi fattori porta a una società più povera rispetto a quella che si svilupperebbe in un sistema di libero mercato [5]. 

Adesso ci resta da commentare l'ultima proposta marxista: l'abolizione della divisione sociale del lavoro [6]. A detta di Marx, nel libero mercato si ha che:

"Non appena il lavoro comincia ad essere diviso, ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere" 

Invece: 

"nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia"

Commentiamo. Anzitutto, ricordiamo che la divisione del lavoro nasce spontaneamente da un sistema di scambi volontari. Nessuno "impone" la divisione del lavoro (sociale o tecnica). Il motivo è semplice: dal momento che aumenta la capacità produttiva, porta maggior benessere a tutte le persone coinvolte. Quest'ultime (tra cui i lavoratori dipendenti) sono incentivate a praticarla, perciò lo fanno. Risulta più comoda delle alternative, tutto qui. Nulla vieta a una persona di non sfruttare i benefici della divisione sociale del lavoro: basterebbe imparare tutti i mestieri e dotarsi di tutti i mezzi di produzione necessari a praticarli. Ovviamente nessuno è così folle da mettere in atto un simile proposito, se non altro perché ridurrebbe enormemente il suo tenore di vita (si veda la teoria dei vantaggi comparati). 
La proprietà statale/collettiva dei mezzi di produzione non risolve il problema, perché a ogni persona conviene sempre specializzarsi nel lavoro in cui detiene un vantaggio comparato. Anche qualora tutti i mezzi di produzione fossero statali, la divisione del lavoro consentirebbe comunque una maggiore produzione. Viceversa, l'abbandono della divisione del lavoro renderebbe possibile solo un sistema primitivo [7] e difficilmente quest'ultimo sarebbe in grado di soddisfare i bisogni basilari di tutte le persone (figurarsi quelli più complessi). L'applicazione di questa proposta, oltre a richiedere livelli di coercizione abominevoli, è totalmente insensata da un punto di vista economico.

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Weierstrass

[1] Per il semplice fatto che i ricavi dell'azienda devono remunerare non solo il lavoro dei dipendenti, ma anche il lavoro di chi fornisce i mezzi di produzione. La cosa diventa particolarmente evidente dopo la "rivoluzione proletaria": a quel punto i dipendenti devono svolgere quei lavori che prima non svolgevano.

[2] Solitamente ai marxisti non piace ammettere che l'applicazione delle loro teorie necessiti di uno Stato. Preferiscono parlare di "collettività", "democrazia diretta" e "dittatura del proletariato". In tutti i casi, però, si sta parlando della stessa cosa: qualcuno, monopolisticamente e in maniera organizzata, comanda gli altri tramite la minaccia di un'azione violenta. E questo è ciò che contraddistingue uno Stato. Stati diversi hanno modi e fini diversi, ma hanno la medesima caratteristica sopra menzionata.
Da questo punto di vista, sono interessanti le critiche rivolte a Marx da Bakunin. 


[3] Infatti nell'Unione Sovietica venivano incriminati con l'accusa di "parassitismo" tutti coloro che rifiutavano di lavorare. Ciò che in una società libera è una scelta individuale, in una società totalitaria diventa reato.

[4] Infatti nell'Unione Sovietica erano frequenti le liste di attesa, la penuria di beni ed il loro razionamento. E' ciò che accade quando la produzione è inadeguata a soddisfare la domanda; se queste cose avvengono sistematicamente, significa che il sistema produttivo è inefficiente.

[5] Esistono molti fattori che influiscono su un sistema economico e, non potendo effettuare esperimenti perfettamente riproducibili, non possiamo escludere che certi risultati siano la conseguenza di un fattore anziché di un altro. Perciò siamo obbligati a prendere "con le molle" i dati empirici.
Ciò detto, i dati empirici sono in buon accordo con quanto detto finora. Confrontando sistemi comunisti e sistemi di libero mercato (o, meglio, con mercato relativamente più libero), si nota che quest'ultimi hanno performance nettamente migliori sul medio-lungo periodo. Non solo. I confronti tra Germania Ovest e Germania Est, tra Corea del Nord e Corea del Sud, tra Cina (pre-1978) e Hong Kong (o Taiwan) sono la cosa più vicina che abbiamo a degli "esperimenti controllati". Tali esperimenti portano alla medesima conclusione. Infine si osserva che la transizione di un paese dal comunismo al capitalismo (o, meglio, ad un più libero mercato) gli porta maggiore prosperità, come avvenuto nell'Est Europa e in Cina (post-1978). 

[6] Marx si riferisce alla "divisione sociale del lavoro" - cioè alla specializzazione in mestieri diversi (esempio: Tizio fa il cacciatore, Caio fa il pescatore). Non si riferisce invece alla "divisione tecnica del lavoro", cioè alla divisione dei compiti all'interno della stessa azienda (esempio: Tizio realizza un componente dell'orologio, Caio un'altro).

[7] Senza divisione del lavoro, ogni persona deve produrre da sola ogni tipo di bene: dal computer all'automobile, dalla pizza al cappotto. E' facile constatare che nessuna persona potrebbe produrre - da sola - tutti i beni di cui gode nella sua attuale società moderna. E' in grado di farlo solo chi vive in uno stadio primitivo (cacciatori e raccoglitori, per intendersi). 

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