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giovedì 4 dicembre 2014

Gli errori del marxismo (1/3) - valore, plusvalore & rivoluzione proletaria

Riportare esaustivamente il pensiero di Karl Marx in un singolo post renderebbe quest'ultimo esageratamente lungo, perciò lascio al lettore la possibilità di approfondire tali argomenti tramite i seguenti link. Sintetizzo brutalmente:

  1. Marx sostiene che il valore di un bene sia oggettivo e dipenda dalla quantità di lavoro necessario a realizzarlo [A1]. E' la teoria del valore-lavoro, caratteristica degli economisti classici.
     
  2. A partire da tale teoria, Marx sostiene che (a) il valore di un bene è generato dal lavoro necessario a produrlo; (b) le aziende pagano i lavoratori quanto basta al loro sostentamento - cioè quanto basta a "produrre" la forza-lavoro.
     
  3. Il prezzo di vendita dei beni prodotti è maggiore dei costi di produzione, incluso il costo della forza-lavoro. La differenza tra i ricavi di un'azienda e le spese per salari, macchinari e materie prime è definita plusvalore. Secondo Marx, il plusvalore rappresenta lo sfruttamento dei lavoratori dipendenti: essi producono quel valore, ma viene loro sottratto dai proprietari dell'azienda.
     
  4. Per porre fine allo sfruttamento dei lavoratori, quest'ultimi devono prendere possesso dei mezzi di produzione - cioè dell'azienda stessa. Si tratta dell'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.
     
  5. Infine, dopo che verrà abolita la divisione sociale del lavoro, si potrà fare in modo che "ognuno [dia] secondo le sue capacità, a ognuno [venga dato] secondo i suoi bisogni".


Iniziamo col dire che il punto 1. è sbagliato. Il valore di un bene è soggettivo (come brevemente accennato qui), non oggettivo. Potrei lavorare a un quadro tanto quanto Picasso [A2], ma difficilmente ci sarebbe qualcuno disposto a pagare la stessa cifra per i due quadri. Oppure potrei lavorare decenni per realizzare un oggetto completamente indesiderabile [A3], ma il prezzo di vendita sarebbe pari a zero. Si tratta di buon senso [1]. Peraltro, se il valore fosse oggettivo, non avverrebbe alcuno scambio  economico [2]. Partendo da una premessa sbagliata, i punti 2. e 3. arrivano a conclusioni altrettanto sbagliate. Il prezzo di un bene dipende dalla sua domanda e dalla sua offerta, le quali riflettono valutazioni soggettive (sul suo valore) da parte di tutti gli attori economici coinvolti. Analogamente, il salario orario dipende dalla domanda e dall'offerta di un certo tipo di lavoro [3].

In particolare, il punto 3. nasce dall'incapacità di comprendere il ruolo di risparmiatori e investitori nella produzione di un certo bene. Infatti abbiamo già visto che la produzione richiede mezzi di produzione, e che quest'ultimi non cadono dal cielo: sono resi possibili da risparmiatori e investitori. I dipendenti, da soli, non possono produrre nulla [4]. Per spiegare meglio questo concetto, consideriamo un esempio:

ESEMPIO
Tizio risparmia del denaro. Caio, dopo un'analisi di mercato, prepara un progetto di investimento e lo propone a Tizio. Tizio valuta il progetto e accetta di finanziarlo, prestando il suo denaro a Caio. Caio investe il denaro per comprare i macchinari e le materie prime necessari al progetto d'investimento. Dopodiché assume dei dipendenti e, tramite i macchinari e le materie prime in suo possesso, fa loro produrre dei beni di consumo (che poi rivenderà). 

Come si vede nell'esempio, la produzione avviene grazie al risparmio di Tizio e all'investimento di Caio. Entrambi forniscono un servizio, ovvero svolgono un certo lavoro e sopportano certi costi. Tizio risparmia (cioè rinuncia al consumo immediato), valuta il progetto di Caio e rinuncia agli altri possibili utilizzi del suo denaro. Caio effettua un'analisi di mercato, fa un progetto e lo porta avanti assumendone il rischio imprenditoriale.
Tizio e Caio forniscono macchinari e materie prime e cercano di organizzare la produzione nella maniera più efficiente possibile. Se nessuno svolgesse tali mansioni, non ci sarebbe alcuna produzione, nessun ricavo e nessun plusvalore [5]. Dunque il plusvalore è la remunerazione per il lavoro di Tizio e di Caio, e non può che essere così: sostenere il contrario significherebbe pretendere che il loro servizio debba essere svolto gratuitamente - cosa che sarebbe in contraddizione persino con la teoria marxista, oltre che con le basi di economia. Non esiste alcuno "sfruttamento dei lavoratori" [6] ma, più semplicemente, viene ricompensato il ruolo dell'imprenditore nella produzione dei beni.

Allora cosa dire delle proposte marxiste? Il punto 4. consiste banalmente nel furto dei mezzi di produzione. Come in tutti i furti, il ladro ottiene un beneficio a spese del derubato. Investitori e risparmiatori (tra i quali anche alcuni lavoratori dipendenti) subiscono un danno; invece ottengono un beneficio quei lavoratori dipendenti che, prima della "rivoluzione proletaria", non risparmiavano né investivano. Alcuni lavoratori dipendenti ci guadagnano ed altri ci perdono, ma comunque il loro insieme ottiene un beneficio netto. Come in tutti i furti, si tratta di un beneficio una tantum: i dipendenti hanno ottenuto "gratis" tutto il capitale esistente, ma adesso devono risparmiare ed investire per mantenerlo e, col tempo, sostituirlo e migliorarlo. Cioè devono fare il lavoro di risparmiatori e investitori.
I dipendenti di un'azienda collettivizzata possono scegliere se produrre/riparare da soli i macchinari di cui hanno bisogno, o se comprarli da qualcun altro (per esempio da un'altra azienda collettivizzata). Se li producono da soli, devono rinunciare ai beni di consumo che avrebbero potuto produrre nel frattempo: c'è sempre un costo-opportunità da pagare. Se li comprano, devono rinunciare a una parte dei loro ricavi. Ma non solo. Devono studiare e fare analisi di mercato per capire cosa e come produrre. Perciò, anche ammesso che siano capaci ed efficienti nel risparmiare e nell'investire, e che vogliano farlo [7], i lavoratori dipendenti non ottengono alcun beneficio duraturo nel medio-lungo termine. Per guadagnare di più, devono lavorare di più - cosa che avrebbero potuto fare anche senza la rivoluzione.

Comunque, se le proposte marxiste si fermassero qui, la società tornerebbe capitalista in breve tempo. Se i lavoratori di un'azienda sono più bravi o più capaci dei lavoratori di un'altra, guadagnano più di quest'ultimi. Se un lavoratore risparmia più di un altro, diventa più ricco. Se un lavoratore compra un'azienda, o ne apre una nuova, diventa un imprenditore. E così via. Tutto ciò è in contraddizione con il sopracitato precetto marxista: "ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni". Infatti le proposte marxiste non finiscono qui, ma anzi richiedono un esteso intervento statale nell'economia.

CONTINUA

Weierstrass

Addendum 03/01/2019: a distanza di 4 mesi dal "cordiale" scambio di battute con un lettore, aggiungiamo tre note di precisazione, lasciando inalterato il testo principale. 

[A1] Per essere precisi, Marx definisce il lavoro socialmente necessario a realizzare un oggetto come la quantità di lavoro impiegata dal lavoratore medio per produrlo. Il valore dell'oggetto non dipende quindi dalla quantità di lavoro impiegata da uno specifico lavoratore, ma dalla quantità che sarebbe necessaria ad un lavoratore "col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro". 

[A2] Esplicitiamo, qualora non sia sufficientemente chiaro, che l'espressione "tanto quanto" del testo originale indicava la stessa quantità di lavoro socialmente necessario impiegata da Picasso. Stando alla teoria marxista, due oggetti prodotti con la stessa quantità di lavoro socialmente necessario dovrebbero avere lo stesso valore - cosa che puntualmente non avviene. 

[A3] Di nuovo, se non fosse abbastanza chiaro: impiegare una grande quantità di lavoro socialmente necessario per costruire qualcosa di inutile non gli conferisce grande valore, nonostante la logica marxista sostenga il contrario. Una cosa ha valore solo se è utile per qualcuno, ovvero se quet'ultimo soggettivamente preferisce quella cosa alla quantità di denaro che deve cedere per averla. 

[1] Un altro esempio è dato dalle procedure d'asta. Esse esistono proprio perché non tutti sono disposti a pagare la stessa cifra per lo stesso oggetto (a dimostrazione del fatto che non esiste un prezzo oggettivo). In particolare, le aste cercano di individuare la persona disposta a pagare di più, ovvero quella che valuta di più l'oggetto in vendita.

[2] Se il valore di 1 kg di pane fosse oggettivamente lo stesso di 2 €, per quale motivo dovrei preferire 1 kg di pane al posto di 2 euro? Ovvero: per quale motivo dovrei spendere 2 € per comprare 1 kg di pane? La realtà è che, essendo affamato, valuto 1 kg di pane più di quanto valuto i 2 €. Per il fornaio vale il contrario; il fornaio ed io valutiamo diversamente gli stessi beni, poiché quest'ultimi hanno un valore soggettivo.
Se invece fossi sazio, non comprerei il pane: preferirei tenermi i 2 €, piuttosto che avere 1 kg di pane in più. Infatti il valore, essendo soggettivo, cambia da situazione a situazione (oltre che da persona a persona). 

[3] Infatti i salari di certi lavoratori dipendenti sono incredibilmente più alti del livello minimo di sostentamento - si vedano l'amministratore delegato di Amazon o i docenti del MIT. Ma anche i lavoratori "normali" hanno stipendi superiori al minimo sostentamento. Viceversa, esistono lavori talmente poco richiesti che offrono salari al di sotto del minimo sostentamento. 
Peraltro, come si spiega che alcuni lavoratori guadagnano più di altri? Perché un chirurgo guadagna più di un lavapiatti? La teoria del valore-lavoro non lo può spiegare, la teoria soggettiva (ed il suo corollario, l'utilità marginale) sì. 

[4] Altrimenti per quale motivo sarebbero dipendenti, anziché lavoratori indipendenti? Se potessero fare da soli, lo farebbero. Il problema è che, per avere i mezzi di produzione, bisogna risparmiare e investire - cioè bisogna fare un lavoro che non tutti sono disposti o sono in grado di fare.

[5] Va notato che una parte fondamentale del lavoro dell'imprenditore consiste nel cercare di prevedere i desideri dei consumatori. E' un compito tutt'altro che facile, dove la probabilità di sbagliare è notevole (a titolo di esempio, si veda il clamoroso errore della Nintendo nel mollare la collaborazione con Sony). Persone come John D. Rockefeller, Sheldon Adelson o Jan Koum hanno creato ricchezza perché hanno dimostrato doti imprenditoriali fuori dal comune. Nulla impediva ad altri di fare ciò che hanno fatto loro...però non l'hanno fatto. L'imprenditorialità è un fattore produttivo che non può essere trascurato. 

[6] In realtà questa conclusione è abbastanza ovvia, dal momento che il lavoratore accetta volontariamente il contratto pattuito col datore di lavoro. Si tratta di uno scambio volontario - ore di lavoro in cambio di denaro - e, come tale, deve soddisfare entrambe le parti coinvolte. Se una delle due parti non fosse soddisfatta, lo scambio non avverrebbe.

[7] Un gruppo di lavoratori potrebbe risparmiare e investire anche senza la rivoluzione proletaria. Non c'è nulla che lo vieti. Anche ammesso che non abbiano risparmi da investire, possono comunque progettare un investimento valido e farlo finanziare da qualche altro risparmiatore. Allora come mai non lo fanno? Perché il risparmio e l'investimento richiedono sacrifici, impegno e rischio. La maggior parte delle persone non ha le qualità richieste, oppure preferisce guadagnare meno piuttosto che impegnarsi oltre un certo livello. L'analisi marxista ignora lo spirito imprenditoriale ed è (anche) per questo che fallisce. 

3 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Dubito che tu abbia letto anche solo il primo capitolo del Capitale di Marx. Già dal primo esempio sul quadro di Picasso dimostra quanto tu non sappia che Marx parlava di lavoro sociale medio, non individuale. Ma d'altronde cosa ci si può aspettare da uno che cita testi neoclassici...

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    1. Sei uno dei tanti che si dichiarano marxisti senza aver capito nemmeno le basi di quello che diceva Marx. Cito direttamente da lui quello che non hai letto o non hai capito:

      "Potrebbe sembrare che, se il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro spesa durante la produzione di essa, quanto più pigro o quanto meno abile fosse un uomo, tanto più di valore dovrebbe essere la sua merce, poiché egli avrebbe bisogno di tanto più tempo per finirla. Però il lavoro che forma la sostanza dei valori è lavoro umano eguale, dispendio della medesima forza lavorativa umana. La forza lavorativa complessiva della società che si presenta nei valori del mondo delle merci, vale qui come unica e identica forza-lavoro umana, benché consista di innumerevoli forze-lavoro individuali. Ognuna di queste forze-lavoro individuali è una forza-lavoro umana identica alle altre, in quanto possiede il carattere di una forza-lavoro sociale media e in quanto opera come tale forza-lavoro sociale media, e dunque abbisogna, nella produzione di una merce, soltanto del tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessario. Tempo di lavoro socialmente necessario è il tempo di lavoro richiesto per rappresentare un qualsiasi valore d'uso nelle esistenti condizioni di produzione socialmente normali, e col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro [...] Quindi è soltanto la quantità di lavoro socialmente necessario, cioè il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d'uso che determina la sua grandezza di valore [...] Merci nelle quali sono contenute eguali quantità di lavoro ossia merci che possono venir prodotte nello stesso tempo di lavoro hanno quindi la stessa grandezza di valore." ( https://digilander.libero.it/prtpla/ilcapitale.pdf )

      Forse ora ti è chiaro che hai scritto una scemenza. Se non ti è chiaro, te lo spiego: due merci che richiedono la stessa quantità di "lavoro socialmente necessario" hanno stesso valore (secondo Marx) anche se i singoli lavoratori ci hanno messo più tempo di altri. Dunque, se io copio perfettamente un quadro di Picasso, o se faccio un quadro mettendoci le stesse "abilità e impegno del lavoratore medio" che Picasso ha impiegato, dovrei venderlo al suo stesso prezzo. Ovviamente la realtà è diversa: il quadro fatto da me vale meno dello quadro fatto da Picasso - sia che siano perfettamente identici, sia che contengano la stessa quantità di "lavoro socialmente necessario". Quindi ho smentito Marx con una banalissima obiezione.
      Ne ho fatta anche un'altra che lo smentisce: se la stessa quantità di "lavoro socialmente necessario" viene usata per produrre una cosa inutile anziché una cosa utile, il prezzo della prima è inferiore alla seconda - nonostante Marx, poveretto, prevedesse il contrario.

      Puoi ringraziarmi sia per la lezione di marxismo, sia per quella di realismo.

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