Cerca nel blog

martedì 9 dicembre 2014

Gli errori del marxismo (3/3) - caduta tendenziale del saggio di profitto

Terza ed ultima puntata dedicata agli errori della teoria marxista. Qui la seconda parte.


Abbiamo visto che Marx definisce il plusvalore come la differenza tra il prezzo di vendita dei beni realizzati dall'azienda [1] ed i costi da essa sostenuti (salari, macchinari e materie prime). Poi abbiamo visto che l'esistenza del plusvalore deriva dalla necessità di remunerare chi (risparmiatori e investitori) fornisce i mezzi di produzione, perciò non comporta alcuno "sfruttamento" dei dipendenti dell'azienda. Oggi vediamo un'altra teoria di Marx in cui riappare il concetto di plusvalore: la caduta tendenziale del saggio di profitto.

Definiamo il capitale costante (C) come il costo dei macchinari e delle materie prime sostenuto dal proprietario di un'azienda [2], mentre i salari dei dipendenti vanno a definire il capitale variabile (V). Con queste quantità, possiamo descrivere il plusvalore con la seguente formula:


dove W rappresenta i ricavi ottenuti dalla vendita dei beni prodotti. Definiamo infine il saggio di profitto come il rapporto tra il plusvalore (P) e la somma di capitale costante e capitale variabile (C+V). Si ha che:

Il saggio di profitto (S) descrive quanto l'imprenditore guadagna in proporzione alle spese sostenute per la produzione. Marx sostiene che la quantità C/V (la cosiddetta composizione organica del capitale) vada ad aumentare nel tempo, causando quindi la diminuzione di S. Vediamo i cardini del suo ragionamento:

(a) Le aziende tendono a migliorare la propria tecnologia di produzione e, per farlo, devono aumentare la spesa per il capitale costante. Ciò porta a un aumento del rapporto C/V.
(b) Se il rapporto P/V (il cosiddetto saggio di sfruttamento della forza-lavoro) non aumenta, la quantità S diminuisce.

Prima di commentare la teoria di Marx, conviene affrontare la questione con un po' di buon senso. L'obiettivo di un imprenditore è aumentare i suoi profitti, su questo non ci piove. Per farlo, deve aumentare la differenza tra il prezzo di vendita dei suoi prodotti e i costi sostenuti durante la produzione. Se vogliamo esprimerlo matematicamente, ecco qua:


dove Q rappresenta il numero dei beni venduti, p il prezzo del singolo bene, Ctot i costi totali della produzione e P il profitto ottenuto. Notiamo che il profitto, così definito, è pari al plusvalore sopra menzionato. Perciò è stato usato lo stesso simbolo per entrambi (P).
Gli imprenditori cercano o di aumentare i ricavi, o di diminuire i costi. Purtroppo per loro, non possono farlo a piacimento. A parità di tutte le altre condizioni, si ha che:
- aumentare Q comporta un aumento di Ctot e una diminuzione di p;
- aumentare p comporta una diminuzione di Q.
Ok, ma cosa succede quando non vale più la condizione ceteris paribus? Marx parla di innovazione tecnologica, quindi stiamo supponendo che le "altre condizioni" cambino. In particolare, l'innovazione tecnologica serve a diminuire il costo di produzione della singola unità. Facciamo un esempio numerico.

ESEMPIO
Tizio ha un'azienda che produce un certo bene. Ogni anno ricava 100'000 € dalla vendita dei beni prodotti. Ogni anno paga 20'000 € per i macchinari, 40'000 € per le materie prime e 25'000 € per i salari dei dipendenti. Il suo profitto (o plusvalore) ammonta a 15'000 €.
A un certo punto, Tizio ottiene in esclusiva una nuova tecnologia - la quale gli consente di dimezzare l'impiego di materie prime [3]. I macchinari che impiegano la nuova tecnologia costano 25'000 € all'anno, mentre la spesa per le materie prime cala a 20'000 €. Tizio decide di produrre la stessa quantità di beni e di venderli allo stesso prezzo di prima, ricavando sempre 100'000 €. Ma adesso può permettersi di pagare i dipendenti 30'000 €, ottenendo un profitto di 25'000 €. 

Nell'esempio, l'innovazione tecnologica consente di:
- aumentare i profitti (da 15'000 € a 25'000 €);
- aumentare i salari (da 25'000 € a 30'000 €);
- diminuire il rapporto C/V (da 2.4 a 1.5);
- aumentare il rapporto P/V (da 0.6 a poco più di 0.8);
- aumentare il saggio di profitto (da circa 17.6% a circa 33.3%).
Ovviamente si possono immaginare altri esempi o altri modi in cui Tizio potrebbe comportarsi [4], ma il succo del discorso è che l'innovazione tecnologica aumenta la produttività dell'azienda poiché ne diminuisce i costi di produzione (rappresentati dalla somma C+V). Perciò tende ad aumentare i profitti - non a diminuirli! - e il salario reale di ciascun dipendente (cioè il suo potere d'acquisto [5]). Questo spiega perché gli imprenditori investano nella ricerca tecnologica. Spiega anche perché i dipendenti dei paesi tecnologicamente avanzati guadagnino più di quelli dei paesi tecnologicamente arretrati.

Quindi l'ipotesi (a) sul fatto che il rapporto C/V vada ad aumentare non è necessariamente vera [6], né dice qualcosa su P o sul rapporto P/V. Marx accenna alla possibilità che l'azienda aumenti il saggio di sfruttamento della forza-lavoro, cosa che infine condurrà alla rivoluzione proletaria. Ma qui commette l'errore che abbiamo richiamato in apertura: il plusvalore o profitto non deriva dallo sfruttamento di qualcuno. Aumentare il rapporto P/V a seguito di innovazioni tecnologiche non peggiora le condizioni dei dipendenti, anzi: il loro salario reale va ad aumentare, non a diminuire. E' una questione di buon senso: in quale società i lavoratori vivono meglio, una primitiva o una tecnologicamente avanzata? 

Qui concludiamo questa serie di articoli. In sostanza, il marxismo parte da concetti sbagliati e li argomenta erroneamente. Dopo aver identificato "problemi" inesistenti, propone "soluzioni" dannose sotto un profilo economico e liberticide sotto quello sociale. Ecco perché non funziona.

Weierstrass

[1] Il plusvalore può essere definito anche in riferimento al singolo bene realizzato, cioè come la differenza tra il suo prezzo di vendita ed i costi sostenuti per produrne una singola unità. Se si usasse questa definizione, il plusvalore totale sarebbe pari al plusvalore singolo moltiplicato per il numero di beni venduti. 
Comunque, per questa trattazione, è più comodo definire il plusvalore in riferimento all'insieme dei beni prodotti dall'azienda. Ma, usando l'altra definizione, si otterrebbero le medesime conclusioni.

[2] Notiamo che, quando Marx si riferisce al capitale costante, non si sta riferendo alla quantità totale (stock) dei mezzi di produzione. Egli si riferisce alla spesa (flusso) per rimpiazzare i macchinari usurati (o per migliorarli, vedi "ricerca tecnologica") e per ricostruire le scorte di materie prime, le quali sono state consumate durante il processo produttivo. 


[3] Qui vengono usati numeri di fantasia, ma non sono così impensabile quanto possa sembrare. Si consideri, per esempio, che la produttività energetica ha fatto passi da gigante nel corso dell'ultimo secolo. 


[4] Per esempio, potrebbe produrre più beni e abbassare i prezzi, così da aumentare la sua competitività. 


[5] Una breve ed efficace spiegazione del rapporto tra tecnologia/capitale e salari si trova in questo videoI concetti da tenere a mente sono due. In primo luogo, l'azienda deve pagare i suoi dipendenti almeno quanto le altre aziende dello stesso settore - altrimenti quest'ultime le fregheranno i dipendenti migliori. In secondo luogo, un aumento della produttività del lavoratore consente di pagarlo di più e, stando a quanto sopra detto, "costringe" l'azienda ad aumentare il suo salario. 


[6] Comunque notiamo che il rapporto C/V può aumentare semplicemente perché la nuova tecnologia, a parità di capitale costante, richiede un minor numero di dipendenti. Ci sono vari scenari possibili, ma va sottolineato che la situazione dei lavoratori dipendenti non va necessariamente a peggiorare. Come vedremo più approfonditamente in un futuro articolo, la tecnologia migliora la vita dei dipendenti. 

Nessun commento:

Posta un commento