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sabato 18 febbraio 2017

Miti statalisti: #4 la staffetta generazionale

La disoccupazione giovanile è uno dei numerosi e gravi problemi che affliggono paesi come Grecia, Spagna e Italia [1]. Alcuni sembrano aver trovato una soluzione a tale piaga economica (e sociale): mandare in pensione anticipata i lavoratori "anziani", rendendo disponibili i loro posti di lavoro ai giovani disoccupati. Tale proposta passa sotto il nome di staffetta generazionale ed è, ovviamente, l'ennesimo mito statalista.


Quando si è di fronte a un problema, è norma di buon senso indagarne le cause e - se possibile - proporre soluzioni che agiscano su quest'ultime. Nel caso in esame, chiediamoci: quali sono le cause della disoccupazione giovanile?
Tra i proponenti della staffetta generazione alberga la credenza che la causa sia una sola: il fatto di avere tanti lavoratori anziani. Essi ritengono che i posti di lavoro disponibili siano una quantità fissata, costante, per cui uno (giovane) può ottenere il posto di lavoro solo se un'altra persona (anziana) lo perde. Chiaramente si tratta di una teoria logicamente ed empiricamente falsa. Dal punto di vista logico, ogni persona in grado di produrre un bene o un servizio può trovare lavoro. Maggiore il numero di abitanti, maggiore (ceteris paribus) il numero di lavoratori. Per esempio, osservando il tasso di occupazione degli USA, si nota che dagli anni '50 a oggi è aumentato - anche considerando gli effetti della crisi del 2008. Perciò i posti di lavoro sono aumentati anche più di quanto abbia fatto la popolazione durante tale arco di tempo [2].

Quindi non esiste un numero fissato di posti di lavoro e, di conseguenza, il numero di lavoratori anziani non ha nulla a che vedere col numero di giovani disoccupati. Infatti tale fallacia è stata smentita da diversi studi empirici, tra i quali ricordiamo: "Youth Unemployment and Retirement of the Elderly: the Case of Italy" di A. Brugiavini e F. Peracchi; "The Effects of Early Retirement on Youth Unemployment: The Case of Belgium" di A. Jousten, M. Lefèbvre, S. Perelman e P. Pestieau; "Per una vera staffetta tra generazioni" di T. Boeri e V. Galasso. In sostanza, non c'è alcuna correlazione tra la partecipazione lavorativa dei "vecchi" (55-64 anni di età) e la disoccupazione giovanile.

Allora per quale motivo così tanti giovani (per esempio) italiani sono disoccupati? Per rispondere, consideriamo le condizioni necessarie ad assumere una persona. Il salario netto (cioè al netto di tasse, contributi, etc) deve essere sufficientemente elevato da "convincere" la persona a lavorare, e la produttività del lavoratore deve essere sufficientemente elevata da giustificarne il salario lordo (cioè al lordo di tasse, contributi, etc). Se la prima condizione non è soddisfatta, la persona non accetta il posto di lavoro; se è la seconda condizione a non essere soddisfatta, la persona non trova nessuna azienda disposta ad assumerla.
Quindi molti giovani sono disoccupati perché lo stipendio netto con cui potrebbero essere assunti è troppo basso per convincerli a lavorare. O - detto in altro modo - la loro produttività è troppo bassa per giustificare lo stipendio minimo che richiedono. Come mai? Semplice: oneri fiscali, contributivi [3], burocratici etc aumentano sia i costi di produzione (quindi riducono la produttività) sia la differenza tra salario lordo e netto (quindi riducono quest'ultimo). Questi effetti penalizzano soprattutto i giovani, poiché la loro produttività è già ridotta dalla mancanza di esperienza lavorativa.

Ma non è finita qui. Poiché la disoccupazione permette di accedere a benefici (per esempio, sussidi) garantiti dallo Stato, si viene a creare la cosiddetta trappola della povertà: trovare un lavoro comporterebbe la perdita di tali benefit, perciò il disoccupato tipicamente preferisce rinunciarvi (a meno che tale impiego non sia molto ben pagato). Detto in altre parole, le politiche statali alzano "artificialmente" il minimo salario netto richiesto dai disoccupati. Infine, ricordiamo che esistono anche altri interventi statali - come il salario/tariffario minimo ed il numero chiuso per certe categorie - ad impedire l'accesso dei giovani al mondo del lavoro.

Quindi la disoccupazione giovanile è il prodotto di diverse politiche statali che scoraggiano da una parte la ricerca di un impiego, e dall'altra l'assunzione di lavoratori alle prime armi. La soluzione logica consiste nell'eliminazione di tali politiche, o perlomeno in un loro ridimensionamento. Viceversa, pensionare anticipatamente i lavoratori anziani non risolve alcuno dei problemi sopra elencati. Anzi.
Consideriamo infatti un milione di giovani disoccupati, che non trovino nessuna azienda disposta ad assumerli per 800 € al mese; ciò significa che la loro produttività (date le condizioni attuali) non è sufficiente a giustificare tale stipendio netto. Se si mandassero in pensione anticipata un milione di lavoratori anziani, la situazione non cambierebbe certo in meglio: la produttività dei giovani disoccupati sarebbe uguale a prima, quindi nessuno potrebbe assumerli a quella cifra. Inoltre lo Stato dovrebbe pagare un milione di pensioni in più, quindi dovrebbe aumentare la tassazione e, di conseguenza, ridurrebbe ulteriormente gli stipendi netti dei lavoratori. Come risultato di tale operazione, si avrebbero ancora più disoccupati di prima.

Quindi la staffetta generazionale trae origine da una fallacia logica, è priva di qualsiasi validità empirica, e aggraverebbe il problema che si prefigge di risolvere. Ma l'aspetto più sconvolgente di tale proposta è che si voglia applicarla in Italia, dove la sua passata implementazione ha creato il problema attuale. Infatti il sistema pensionistico italiano ha largamente privilegiato le generazioni passate, consentendo loro di ritirarsi dal lavoro a un'età ridicolmente bassa e dopo aver pagato contributi irrisori. Anziché azzerare la disoccupazione giovanile, tale operazione ha scaricato il suo inevitabile costo sulle generazioni attuali, contribuendo al grave stato dell'economia italiana.

In conclusione, è difficile credere che i proponenti della staffetta generazionale siano davvero convinti di ciò che dicono. E' più probabile che dietro a tale proposta ci sia l'interesse concreto dei lavoratori anziani (e quindi dei loro sindacati e politici di riferimento) ad ottenere l'ennesimo privilegio: andare in pensione il prima possibile, lasciando il conto a chi verrà dopo di loro. Come è già successo.

Weierstrass

[1] A inizio 2016, il tasso di disoccupazione giovanile nei tre paesi era pari a 50%, 45% e 38% rispettivamente. Sarebbe meglio considerare il tasso di occupazione, ma in questo caso il risultato non cambia. 

[2] Infatti è aumentata anche la partecipazione femminile al lavoro. Gli aumenti di produttività dei decenni passati hanno incentivato le donne a lavorare, creando così nuovi posti di lavoro che prima non c'erano. 


[3] Ricordiamo che gli oneri contributivi sono tutt'altro che trascurabili: "L'aliquota media a carico ditta [...] è pari al 32.70% della retribuzione lorda per la generalità dei lavoratori dipendenti. La quota a carico del dipendente è normalmente pari al 9.19% della retribuzione". 

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