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giovedì 20 aprile 2017

Miti statalisti: #8 lo Stato non fa profitti?

Nel precedente capitolo abbiamo visto che i politici fanno il proprio interesse, e che quest'ultimo (tipicamente) non coincide con quello dei cittadini. Anzi! Di conseguenza, poiché cattivi incentivi si traducono in cattivi risultati, lo Stato tende ad essere inefficiente nella gestione dei servizi pubblici. Tuttavia, nonostante queste considerazioni di buon senso, spesso gli statalisti si nascondono dietro il seguente mito: "in teoria, il settore pubblico è meno costoso del privato, perché non deve fare profitti". Ma ne siamo proprio sicuri?


Iniziamo col dire che quel "in teoria" sta a supporre che i dipendenti pubblici siano efficienti quanto quelli privati, benché ricevano incentivi drasticamente diversi. Tale ipotesi è logicamente infondata e smentita dalla realtà dei fatti. I dipendenti pubblici non sono unicorni, ma esseri umani: il loro interesse è massimizzare il guadagno personale (chiedendo stipendi più alti rispetto a quelli di mercato) e minimizzare la fatica necessaria ad ottenerlo (lavorando meno e/o peggio). I politici al Governo non hanno alcun incentivo a contrastare tali richieste, ed anzi sono inventivati ad assecondarle [1], per cui i servizi pubblici risultano sempre peggiori rispetto a quelli privati [2]. Del resto, ci sarà qualche motivo per cui tutte le economie completamente statalizzate sono state dei fallimenti... 
La frase tra virgolette è quindi priva di senso pratico, ma è fallata anche da un punto di vista teorico. Il profitto rappresenta un costo presente in ogni attività economica, anche qualora si tratti di un servizio o di un'impresa statale. Anche se supponessimo  - per assurdo - che il settore pubblico sia efficiente quanto quello privato, il suo costo totale non potrebbe essere inferiore. Vediamone la dimostrazione.

Quando viene aperta un'attività economica privata, l'imprenditore deve fare un investimento iniziale. Deve comprare un edificio o un terreno, dei macchinari, etc. Da dove prende il denaro necessario? O dai suoi risparmi, o da un prestito ricevuto (cioè dai risparmi altrui). Il profitto serve appunto a remunerare l'imprenditore (per il lavoro che svolge [3]) e chi risparmia [4]. Infine, in futuro l'imprenditore dovrà fare altri investimenti per mantenere operativa la sua azienda e, magari, per migliorarla e/o ingrandirla. 
Quando la stessa attività economica viene aperta dallo Stato, anche il settore pubblico deve fare un investimento iniziale. Anche lo Stato deve trovare del denaro; se lo prende a prestito, allora ci deve pagare degli interessi. Dunque il profitto esiste anche nel settore pubblico! I cittadini devono pagare non solo i costi di gestione del servizio pubblico, compresi gli stipendi dei funzionari che lo amministrano [5], ma anche gli interessi sui debiti che lo Stato ha contratto per avviarlo, mantenerlo, etc. Quindi, anche supponendo che l'efficienza del pubblico sia pari a quella del privato, il costo totale a carico dei cittadini non è affatto minore. 

Si arriva alla stessa conclusione anche qualora lo Stato non si indebiti, ma decida invece di aumentare le tasse a carico dei cittadini. Non solo quest'ultimi sono costretti ad assumersi i rischi dell'investimento pubblico [6], ma vengono privati coercitivamente del proprio denaro. Avrebbero potuto investirlo volontariamente in altre attività, ricavandone degli interessi. A causa delle maggiori tasse, invece, perdono sia il denaro sia gli interessi che avrebbe fruttato. Anche in questo caso, quindi, il settore pubblico comporta un costo analogo al profitto privato. La differenza sta nel fatto che i profitti privati sono ben identificabili, mentre i profitti statali no; quest'ultimi sono mischiati nel calderone del debito pubblico e delle tasse, quando non occultati sotto forma di "mancati interessi" dei cittadini.


Si rassegnino dunque gli statalisti: anche nel loro mondo delle favole, i servizi pubblici hanno un costo analogo al profitto. Bene che vada, insomma, costano quanto gli equivalenti servizi privati; nella realtà, ovviamente, costano di più [7]. 

Weierstrass

[1] I politici al Governo non spendono soldi propri, ma i soldi dei cittadini; non hanno quindi incentivi a contenere le spese. In generale, inoltre, non li spendono per sé, ma per i cittadini; non hanno quindi incentivi ad ottenere una buona qualità. I risultato è che i servizi pubblici tendono a costare di più e/o ad avere una qualità inferiore. 

[2] Il confronto, tuttavia, è reso impossibile dallo Stato stesso. I servizi pubblici operano spesso in regime di monopolio o quasi, perciò non esiste una vera e propria concorrenza privata. Inoltre il costo totale di un servizio pubblico viene "occultato" con vari espedienti e spesso finanziato tramite la tassazione generale, così che i cittadini non abbiano idea del suo effettivo ammontare. Infine, anche laddove i concorrenti privati siano ammessi, devono sottostare a regole imposte dallo Stato che ne alterano drasticamente il comportamento. Ciò detto, si possono fare confronti tra paesi che hanno liberalizzato e paesi che non lo hanno fatto. 

[3] Come minimo, l'imprenditore è colui che sceglie dove, come e quando investire. E' colui che si accolla il rischio d'impresa. Non è né un lavoro facile (altrimenti non fallirebbero così tante imprese) né per tutti (altrimenti sarebbero tutti imprenditori). 

[4] Se l'imprenditore ha ricevuto un prestito, deve pagare degli interessi ai creditori. Se invece ha impiegato i suoi risparmi, allora vuole ottenere tanti interessi quanti ne avrebbe ricevuti prestando tali risparmi a qualcun altro. 

[5] Nei servizi pubblici, il ruolo dell'imprenditore viene svolto dai funzionari pubblici. E pare che non lavorino gratuitamente...

[6] Se l'investimento va male, nel senso che viene prodotto un servizio i cui costi superino i vantaggi, la perdita è a carico dei pagatori di tasse. 

[7] Perlomeno, a parità di qualità. Ma spesso il settore pubblico costa di più e fornisce anche una qualità inferiore. 

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